Crescono le assunzioni, ma solo quelle a termine 

Su le assunzioni, che nel primo trimestre sono cresciute del 21% rispetto al 2016, giù la cassa integrazione, che a fine aprile risultava dimezzata rispetto alle richieste dello scorso anno. Segnali a prima vista positivi, quelli che vengono dai dati Inps sul mercato del lavoro e dai dati Inps sul ricorso agli ammortizzatori sociali in Friuli Venezia Giulia. Ma non mancano purtroppo contraddizioni ed elementi di incertezza. Su tutti l’ulteriore flessione delle assunzioni a tempo indeterminato: queste ultime, dopo il picco di 7.100 nuovi contratti raggiunto nel primo trimestre 2015 su impulso degli sgravi contributivi, si sono poi stabilizzate su valori decisamente più bassi: 4.200 nel 2016, 4.100 nel primo trimestre di quest’anno, con un calo dell’8% sul 2016 e del 40% sul 2015. La crescita delle assunzioni complessive e l’incremento del saldo positivo tra assunti e cessati (+7.900, contro il +6.800 del 2016), quindi, sono da ascrivere esclusivamente alla forte crescita (+28%) delle assunzioni a termine, che nel primo trimestre sono state quasi 23mila, 5mila in più rispetto ai numeri, pressoché identici, raggiunti nel 2016 e nel 2017.
Saranno i dati Istat sul periodo gennaio-marzo, attesi tra un paio di settimane, che dovranno confermare e quantificare l’impatto positivo in termini di nuovi occupati, dopo il lieve recupero (+3.000 posti) fatto segnare nel 2016. Che la tendenza possa proseguire lo lasciano pensare anche i numeri della cassa integrazione, che nei primi quattro mesi di quest’anno ha visto dimezzarsi le richieste (-51%) rispetto allo stesso periodo dello scorso anno: un calo che riguarda pressoché tutti i comparti chiave del manifatturiero (-71% nel settore metalmeccanico, -59% nel legno-arredo, -39% nelle costruzioni, dove però risulta ancora in calo il numero degli addetti e delle imprese attive), con l’eccezione del settore poligrafico e qualche segnale di perdurante difficoltà nel commercio.
In un quadro ancora contraddittorio, una delle poche certezze è la crescita del lavoro precario, confermata non soltanto dall’andamento divergente tra contratti a tempo indeterminato (in calo) e a termine (in crescita), ma anche dal consuntivo finale sul ricorso ai voucher nel 2016, cresciuto in regione di un ulteriore 20% e un ricorso molto marginale a questo strumento nei settori per i quali esso era stato inizialmente concepito: tra gli utilizzatori, infatti, solo il 3% si colloca nell’ambito del lavoro domestico, un analogo 3% nell’agricoltura e il 5% nell’ambito dell’organizzazione di eventi sportivi e culturali. Un terzo dei lavoratori pagati con i buoni si concentra nel commercio e turismo (34%) e altrettanti nelle aziende del manifatturiero, a conferma di un utilizzo che con gli anni – favorito da una progressiva deregulation normativa – si è trasformato in abuso, fino all’abolizione per legge dello strumento, decisa dal Governo su spinta del referendum abrogativo promosso dalla Cgil.